L’ailanto, il pino nero e altre storie di alberi “sbagliati”

L’ailanto, il pino nero e altre storie di alberi “sbagliati”

L’ailanto, il pino nero e altre storie di alberi “sbagliati”


Facile dire piantiamo un albero per fermare i cambiamenti climatici. Tutte le piante sono benvenute a patto che siano nel posto giusto. Un nuovo arrivato rischia sempre di alterare gli equilibri della natura e, anche con le migliori intenzioni, si possono fare danni irreparabili alla biodiversità dell’ambiente. E’ quello che sta accadendo nel Regno Unito dove il piano del governo di riforestare 30 mila ettari all’anno per azzerare le emissioni entro il 2050 è contestato da associazioni  non sospette come Plantlife e Butterfly Conservation. Nella corsa all’ossigeno, e ai crediti di carbonio, che assicurano queste rimboschimenti di massa, l’errore è dietro l’angolo. Nel nord-est dell’Inghilterra sono state piantate conifere un po’ dappertutto anche in prossimità di ambienti delicati come torbiere, praterie spontanee e altri habitat rari. Un centinaio di specie autoctone, tra flora e fauna, ora rischiano il declino a causa di questi alberi. Ma quello che accade oggi oltremanica è già successo in Italia, sessant’anni fa.

 

Piantare alberi in modo sbagliato può danneggiare l’ambiente: le regole per farlo nel modo giusto


Il pino nero montano ora è un problema. Nel dopoguerra è scoppiato il boom del pino nero austriaco: quasi un milione e mezzo di ettari devastati durante il conflitto sono stati riforestati con pinete artificiali di questa specie secondo i calcoli del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria). Facile da coltivare in vivaio, albero pioniere che tende ad occupare gli spazi vuoti, il pino nero è una difesa naturale contro il rischio idrogeologico per le sue capacità di assorbimento dell’acqua. Tutto bene se non se fosse che oggi, queste nuove foreste sono piuttosto malandate.

Da qualche anno si sono iniziati fare tagli selettivi per favorire la crescita di altre piante o specie indigene. “Si tratta di un albero che fatica ad adattarsi ai cambiamenti climatici, non tollera i lunghi periodi di siccità e le precipitazioni intese ma frammentate delle nostre stagioni – spiega Francesco Ferrini, docente di selvicoltura urbana all’Università di Firenze –  Anche perché quello introdotto in Italia è un pino nero montano con caratteristiche diverse dalle popolazioni autoctone di questo albero presenti nel nostro paese che resistono meglio agli effetti del riscaldamento globale ma che sono state ignorate nel progetto di riforestazione”.

Un discorso simile vale per le pinete mediterranee lungo il litorale toscano, piantate secoli fa dai Lorena e oggi decimate da parassiti e insetti che si riproducono con facilità grazie ad inverni sempre più miti. O dei quasi 20 mila pini stradali a Roma che convivono con estrema difficoltà con l’ambiente urbano. “Altri casi riguardano l’introduzione del cipresso dell’Arizona o di quello di Monterey come sostituti del nostro Cupressus sempervirens. – prosegue Ferrini – Si pensava che fossero immuni dal cancro che ha decimato questi alberi ma non è così. Poi sono decisamente brutti sotto il profilo estetico perché tendono a perdere la vegetazione”.

L’ailanto: dalla seta alla cattura della Co2. Ci sono poi alberi che si adattano così bene da essere sempre nel posto sbagliato. Come l’ailanto: introdotto dalla Cina nel Settecento per produrre la seta con il lepidottero Samia cynthia, oggi è una tra le piante invasive numero uno in Europa e Nord America. In Italia ha colonizzato persino i Fori Imperiali a Roma. Un esemplare femminile produce 300 mila semi all’anno mentre le foglie hanno sostanze in grado di stecchire insetti e altri animali.

“Questa è una specie che cresce rapidamente, difficile da contenere perché molto competitiva. – conclude Ferrini – Ma offre anche dei servizi ecosistemici: ha incredibili capacità di assorbimento dell’anidride carbonica, il suo legno viene usato nell’artigianato e la tossina prodotta dalla pianta è attualmente in fase di studio come diserbante naturale”.

Un vademecum per scegliere il posto giusto. Errori da non ripetere quando si tratterà di utilizzare le risorse previste dal Recovery Plan per aumentare la forestazione urbana. Ecco perché il Comitato AlberItalia, che riunisce docenti universitari, tecnici e associazioni, ha creato un vademecum per scegliere il posto più adatto dove piantare gli alberi in base sia alle caratteristiche dell’ambiente che della specie della pianta.

Le linee guida sono già state adottate dall’Emilia-Romagna per il suo progetto di mettere a dimora 4,5 milioni di alberi nei prossimi cinque anni. A breve sarà anche disponibile un software denominato “Contalberi” che permetterà di calcolare quanti sono gli alberi piantati correttamente.



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